– 20 – Da semplice garzone a Presidente di uno Stato
Václav Havel (1936-2011) fu un
dissidente e perseguitato politico sotto il regime comunista dell’allora
Cecoslovacchia, in quanto figura di spicco del movimento politico-sociale
conosciuto come Charta 77. A seguito del graduale processo di liberalizzazione
del Paese, che difatto portò alla caduta del suo pluridecennale governo
comunista, Havel ne ricoprì la carica di Presidente, dal 1989 al 1992, ed seguito quella di Presidente della neo-costituita
Repubblica Ceca, dal 1993 al 2003.
Nel suo curriculum
spiccano esperienze
anche nel campo teatrale e della birra.
Il padre di
Havel era un uomo d’affari di successo. Lo stile borghese della sua famiglia
contribuì a creare un alone di sospetto da parte delle autorità che non gli
resero la vita facile. Nel 1955 si vide negare l’accesso all’università nella
facoltà di studi umanistici. La passione per il teatro ebbe il sopravvento.
Negli anni Sessanta Havel era considerato un ottimo drammaturgo. Con le sue
opere poneva in risalto l’insensatezza della burocrazia.
Quando i
russi nel 1968 occuparono la sua terra natale, le sue opere furono vietate nei
teatri nazionali. Ma il giovane non si abbattè per i mancati guadagni che ciò
avrebbe comportato. Per sua fortuna Havel era proprietario di un appartamento
di famiglia a Praga, e l’anno prima aveva acquistato una casa di campagna a
Hrádecek, nei pressi della città di Trutnov nel nord del paese. Per un certo
perido le sue opere ebbero una vasta eco in Occidente e le royalties gli
assicurarono un introito sicuro e costante, fino a quando iniziarono a perdere
di attualità.
Scriveva e
scriveva ma le sue pubblicazioni erano relegate ad un mercato di
“nicchia” che circolavano solo in modo clandestino. Subentrarono la
noia e l’inerzia perché per lui muoversi era un problema. A Praga ogni suo
movimento era monitorato, perciò lui e la moglie Olga presero a trascorrere
sempre più tempo in campagna, a Hrádecek. In seguito, Havel descriverà quel
periodo nei primi anni Settanta come un «esilio interno semivolontario».
Tutto ciò lo portò a un periodo di tristezza e depressione.
Fu così che,
alla soglia dei quarant’anni, Havel iniziò a cercare occupazione. Poco distante
da dove risiedeva c’era il birrificio Trutnov, presso il quale fece domanda.
Al colloquio
Havel confessò di essere un dissidente, ma al mastro birraio non importava: «Se è per questo, abbiamo anche degli zingari
che lavorano qui», gli disse. Venne assunto come magazziniere. Ben presto
la notizia arrivò alle orecchie dei vertici del partito ordinando in modo perentorio
di licenziare un soggetto politicamente sospetto. Ma ormai il contratto di
lavoro era stato firmato e non si poteva recedere. La contromossa fu quella di
controllare le sue mosse e le sue parole. Nei locali del birrificio vennero
installati microfoni e tutto il personale che lavorava nel birrificio era stato
istruito di tenerlo d’occhio.
Il giovane trascinava sacchi di
luppolo e orzo. Spostava fusti di birra nel freddo magazzino così che nella sua
mente non c’era spazio per il mondo della poesia, del teatro e della politica.
Jan Špalek,
il supervisore di Havel di quel periodo, dirà: «All’inizio per lui fu terribile. Poveretto, moriva dal freddo per tutto
il tempo. Alzava oggetti che pesavano il doppio, anche triplo, di lui». Al
lavoro non parlava di politica. I suoi colleghi lo ricorderanno come «un tipo
silenzioso», «un buon compagno», «un duro lavoratore», «uno di noi».
Dopo alcuni mesi, Havel ottenne una
promozione e dal magazzino passò al birrificio vero e proprio, all’impianto di
filtraggio. Decenni dopo, con la sua classica ironia, parlerà di quella
mansione autodefinendosi «colui che rovinava
la birra»: «Subito dopo la
fermentazione, la birra ha un sapore eccellente perché contiene ancora quel po’
di lievito che gli conferisce un certo aroma. Però non è possibile lasciarla
così com’è, perché i fusti potrebbero esplodere, quindi
dev’essere filtrata prima di essere confezionata, e questo ne peggiora il
sapore», diceva a mo’ di spiegazione. Havel suo malgrado fu costretto a
liceziarsi nell’inverno del 1974. Non era più nelle condizioni di raggiungere
il posto di lavoro. La polizia segreta infatti aveva imposto che la strada di
accesso davanti a casa sua non dovesse essere più sgomberata dalla neve. Nel 1975,
Havel scrisse “L’udienza” in cui il grande scrittore si
dimostra uno spietato analista dei meccanismi che portano alla repressione
delle libertà individuali, che trasformano gli uomini in delatori, vittime e
carnefici. L’opera si diffuse per tutto il Paese in modo clandestino, finendo anche
nelle mani dei lavoratori del birrificio Trutnov. Non capire quali fossero i
personaggi della vita reale nascosti dietro Vaněk e il suo superiore era
impossibile. Del resto, il mastro birraio Vilém Kasper aveva la fama di uomo
amichevole, ma incline ad alzare il gomito. Il personaggio di Vaněk divenne il protagonista di altre due
opere teatrali successive. Nell’aprile 1975 scrisse al segretario generale del
Partito comunista cecoslovacco Gustáv Husák. Questo gesto segnò per sempre il
suo futuro. Per le autorità Havel era un reietto, ma considerato un eroe ed un
leader per i dissidenti. Dal 1979 al 1983 trascorse i suoi anni in prigione. Nel
novembre 1989 la cosiddetta “Rivoluzione di velluto” (il
processo politico che condusse alla dissoluzione dello stato comunista
cecoslovacco) guidata da Havel e Dienstbier portò ad una svolta politica
pacifica. Nel dicembre 1989 Havel fu eletto Presidente della Cecoslovacchia.
Da Presidente
mantenne sempre le sue abitudini. In una intervista raccontò un aneddoto
avvenuto nel febbraio 1990, quando fu in visita ufficiale negli Stati Uniti. Durante
il viaggio fece una sosta in un pub del posto, ordinò una birra e allontanò gli
uomini della sicurezza. Poco dopo un americano gli si avvicinò e inizizarono a
parlare. L’americano notò l’accento straniero del suo interlocutore e gli
chiese da dove venisse e cosa facesse per vivere. Havel rispose sinceramente
dicendo di essere il Presidente della Cecoslovacchia. L’americano scoppiò a
ridere e diede a Havel una pacca sulla schiena offrendo un altro giro, cosa che
Havel non rifiutò.
Anche molti fra gli ospiti del Presidente ebbero la possibilità di conoscere il lato migliore della Cecoslovacchia. Presso “il solito posto“, la birreria Na Rybárně, Havel portò dai Rolling Stones al segretario di Stato americano Madeleine Albright (nata Marie Jana Körbelová, proprio a Praga) per bere una Pilsner Urquell. Quando Bill Clinton visitò Praga nel 1994, Havel gli offrì una Urquell nella leggendaria birreria U Zlatého Tygra.
Fonti:
Storia d’Europa
in 24 pinte, Wikipedia